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COME ERAVAMO

Breve storia di Castano dalla fine del medioevo all'inizio del '900

a cura del prof. Giorgio Bonazza

villa Rusconi
La storia di molti secoli fa ci parla di fatti che, nel lento trascorrere dei secoli, hanno interessato e segnato l'evolversi e il divenire di Castano e del suo territorio: tra i tanti - e quasi a caso - le opere civili per costruire le diverse derivazioni del Ticino (e la relativa pratica avventurosa di cavare l'oro dalle sue acque) e i fossati della Cerca e del Panperduto, e il Naviglio; e ancora importanti eventi bellici come il passaggio dei Franchi, e quello dei guerrieri germanici in fuga dopo la battaglia di Legnano, le lotte fra Torriani e Visconti, l'assedio portato dal marchese Francesco d'Este, la peste arrivata al seguito dei cavalieri di ventura inglesi ... E poi, a metà del secondo millennio, la nascita delle grandi cascine: la Malpaga, la Comarina, la Cantona e la Saronna, opere ancora oggi, bene o male, esistenti (o in gran parte ricostruite o ristrutturate), nomi a tutti familiari.
Per far sopravvivere la memoria agli assalti del tempo, è ancora oggi prezioso modello di riferimento quel voluminoso manoscritto che è la"Storia di Castano Primo"di padre Virginio Martinoni. Questa opera, donata agli archivi parrocchiali nel 1978, è stato irrinunciabile punto di partenza per quanti, nel corso degli ultimi decenni, hanno cercato di raccontare ogni tipo di accadimento passato riguardante il nostro borgo.
Tra questi autori, degno di nota è uno dei personaggi castanesi più conosciuti negli anni attorno la metà del secolo scorso:la maestra Chiarina Cairati, autrice di un breve saggio intitolato "Cenni storici di Castano Primo".
Notizie e fatti di epoche ormai remote, frammenti di storia e di varia umanità, mentre la vita dell'uomo scorre sempre uguale e allo stesso tempo sempre diversa spinta dal soffio della civiltà che avanza. Cronache tramandate che parlano di dura vita nei campi e di caccia praticata solo per sfamarsi, mentre per pochi eletti è soprattutto un passatempo, un modo per divertirsi o vincere la noia, come per i Visconti e gli Sforza, col loro vezzo snob di cacciare perfino con il leopardo. Tempi duri anche perché lupi, orsi e cinghiali costituiscono un serio pericolo per chi ha come unica ricchezza il possesso di qualche capo di bestiame. E a far da contorno a questa vita precaria umili abitazioni, ma anche mulini e forni un po' dappertutto, e nelle vicinanze il porto di Turbigo, la navigazione sul Ticino e sul Naviglio a trasportare merci dal Verbano a Porta Ticinese.
malpaga Dopo il 1500 ecco arrivare gli spagnoli, ancora guerre, di nuovo la peste a varie ondate, l'ultima portata dalla calata dei Lanzichenecchi di manzoniana memoria. E Castano, falcidiata da continui flagelli, deve assistere ai sanguinosi regolamenti di conti tra francesi e spagnoli, alla battaglia di Tornavento. Poi, tra il '600 e il '700, sembra tornare la calma, in paese non accadono fatti tali da sollevare l' attenzione di storici e cronisti. Tutto si consuma come sempre nelle semplici' abitudini quotidiane, quelle proprie di un piccolo borgo di provincia.
All'epoca la popolazione è di forse duemila anime e le condizioni di vita continuano a mantenersi molto precarie, almeno per la povera gente. Gli inverni molto rigidi compromettono spesso il raccolto e anche la peste bovina a volte ci si mette a decimare le mandrie. Alle calamità naturali si aggiungono poi le tasse straordinarie dovute ad esempio all'esigenza di pagare i soldati, mentre le campagne sono infestate da briganti e assassini al punto che le autorità devono ordinare il taglio della boscaglia nei pressi delle strade per sottrarre a questi malviventi un ricovero sicuro.
A titolo di curiosità si potrebbe aggiungere che da una lettera datata 1717 si viene a sapere che, al tempo, nel mezzo della piazza di Castano esiste una grande vasca, chiamata "la piscina grande", che raccoglie le acque pluviali allo scopo di abbeverare le bestie e spegnere gli incendi. Inoltre, le cronache dicono che aumenta di continuo il numero dei trovatelli lasciati vicino alle porte delle chiese: a questi bambini viene poi solitamente dato il cognome Colombo, dal volatile che si trova sullo stemma dell'Ospedale maggiore di Milano. E a proposito di stemmi, nel 1673 quello comunale castanese si arricchisce della pianta di castagno che va così ad aggiungersi al preesistente castello: secondo la tradizione del tempo si ritiene infatti che il nome del paese derivi dalla grande abbondanza sul territorio di tali piante.
A partire dal 1800 la popolazione comincia a crescere con regolarità e anche il cimitero deve subire degli ampliamenti. il Comune decide di recintare il terreno intorno alla chiesa del Lazzaretto e lo adibisce a camposanto, anche se poi la parrocchia pretende un pagamento considerando tale luogo di sua proprietà. Anche all' interno del paese si nota qualche segno di rinnovamento: ad esempio, le strade vengono tutte pavimentate con sassi interrati strettamente uno vicino all'altro, la cosiddetta "rizzata". L'illuminazione invece risulta ancora piuttosto scarsa.
Il periodo in cui Castano si trova sotto la Repubblica Cisalpina è ricco di varie benemerenze, fra le quali spicca l'istituzione, assai importante per i tempi, di una Magistratura centrale di Sanità contro le malattie contagiose. Con decreto del 5 novembre 1802 viene imposta la vaccinazione gratuita per i poveri e i bisognosi, grazie all'opera meritoria del dottor Luigi Sacco, nominato allo scopo direttore generale dal governo napoleonico: è così che tra il 1805 e il 1807 anche la popolazione della zona del Castanese risulta del tutto vaccinata. E intanto sta per affermarsi il giovane medico Enrico Acerbi. E anche il Risorgimento è alle porte.
Parallelamente, nel piccolo mondo castanese risalta di luce propria la figura del dottor Enrico Acerbi, che vari decenni dopo avrà l'onore di vedere intitolate al suo nome sia una strada cittadina che la scuola media. Enrico Acerbi nasce il 26 ottobre del 1785, terzo di otto figli, da Giuseppe e da Mariana Trotti. Il padre, pure lui stimato e provetto medico, nella fune sta epidemia di tifo petecchiale del 1796 si era prodigato a tal punto per i concittadini ammalati da rimanere contagiato fino a morirne. Il piccolo Enrico rimane così orfano all'età di dieci anni, ma per fortuna il marito di una sorella si preoccupa in prima persona della sua educazione e lo manda a studiare prima a Milano dai padri Barnabiti e più avanti, grazie all' appoggio della famiglia Borromeo, all'università di Pavia.
Enrico viene attratto dallo studio delle scienze, pur non trascurando la letteratura al punto da scrivere un poemetto giovanile intitolato Venere Celeste. Dopo la laurea inizia la pratica medica a Milano. Qui viene anch'egli contagiato dal tifo e manca poco che non faccia la stessa fine del padre. Alla conoscenza di questa malattia dedica, però anni di studi e tutte le sue energie, e nel 1922 ha la soddisfazione di pubblicare un importante trattato sull'argomento. E' poi medico di casa Manzoni, il quale lo stima a tal punto da concedergli l'onore di una citazione in nota, l'unica attribuita ad un autore ancora vivente, nei Promessi sposi. Il destino purtroppo non sarà benevolo nei suoi confronti: morirà a soli 42 anni consunto dalla tisi, in un paesino, Balbiano, sul lago di Como.
L'epopea risorgimentale in pieno fermento vede poi un susseguirsi di eventi e di stravolgimenti che di fatto preparano il nuovo assetto della geografia politica italiana ed europea. Dopo la restaurazione del potere austriaco, in Lombardia si sviluppano sempre di più le idee repubblicane di libertà, e si assiste alla nascita di varie società segrete. Milano, nel marzo del '48, è scossa dai tumulti e dall' erigersi delle barricate che portano alle Cinque giornate; il giorno 20 il Consiglio di guerra milanese invia un proclama ai comuni lombardi più vicini affinché tutti gli uomini validi si riuniscano in squadre armate pronte a difendere la rivoluzione in atto. Ma le successive vicende e le numerose sconfitte dell'esercito piemontese non porteranno alla tanto agognata liberazione.
Dieci anni più tardi le ostilità riprendono e questa volta all'esercito sabaudo di Vittorio Emanuele si affianca l'alleato francese, con Napoleone III in persona alla sua guida. Decisiva è la vittoria del 4 giugno a Magenta, e questa battaglia, nelle sue fasi preliminari, interessa anche il territorio di Castano. Infatti, mentre una colonna franco-piemontese assale Boffalora un' altra attacca più a nord: la manovra ha pieno successo e la sera del 2 giugno 1859 il Ticino, che segna il confine tra il Regno di Sardegna e i territori austriaci, viene finalmente guadato; l'esercito francese occupa così il centro abitato di Turbigo e i suoi dintorni. Il giorno dopo il generale Mac Mahon si spinge sul campanile della chiesa di Robecchetto per avere il quadro della situazione e controllare le posizioni nemiche, ma ne discende subito precipitosamente avendo avvistato una consistente colonna austriaca nelle vicinanze. Fa allora avanzare in prima linea un reparto di Turcos algerini che si buttano nella mischia affrontando i nemici alla baionetta; nel frattempo altri reparti muovono in direzione di Castano, nella cui piazza sono piazzati due cannoni "puntati verso San Rocco", aspettandosi gli austriaci un attacco da quella direzione. Gli scontri nella nostra zona sono per fortuna di portata ridotta perché in seguito, per motivi strategici, il baricentro della battaglia si spinge più a sud, appunto in direzione di Magenta.
Castano partecipa comunque attivamente a sostenere le armate liberatrici e nei giorni seguenti, almeno così narrano le cronache, le alunne della scuola elementare sono invitate a predisporre bende e filacce e quant' altro necessario per prestare soccorso ai feriti; intanto dalle aule scolastiche viene rimosso il ritratto dell'imperatore d'Austria. La Lombardia è ormai annessa al Regno di Sardegna.

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